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venerdì 10 dicembre 2010

KULT KAST (seconda parte)

Il principale degli approcci che vogliamo affrontare è quello che racchiude intimamente il significato di cultura, quando si ragiona attorno ad un popolo e ad un territorio. Nel caso possiamo indicare in modo vasto l'area del vulcano laziale e le pianure attorno - per estensione - come territorio "informato dalla medesima o molto affine" cultura. Così vale per la accezione storica a cui vogliamo riferirci per le genti che abitano e vivono questo territorio. Genti antiche e quindi discese da precedenti generazioni, ma anche genti abituate ad un veloce e numericamente elevato cambio di stanzialità sia all'interno dell'area che dall'esterno verso questa stessa zona. Questo di per sè ha fatto in modo che c'è una certa dose di apertura mentale, più nelle nuove generazioni che nelle precedenti, che rispondono così alla esigenza di rapportarsi con notizie, informazioni, stili, gusti, preferenze, priorità di cui ognuno è portatore verso l'altro. L'anomia, quello stato di descrizione sociale che attiene alla sfera del quotidiano nei confronti delle persone che non si conoscono e con le quali si entra necessariamente in contatto: sulla metro, fai sapere coi tuoi comportamenti a quelli che ti sono vicini; "si so che esisti  che sei qui. Però siccome non ho nulla da condividere con te, stai nella tua sfera e io nella mia, civilmente, ma separati". Ecco  l'anomia in quanto prodotto moderno della società contemporanea, della società dell'informazione, può agilmente essere abbattuta - e frequente è così - da due estremi comportamentali: o il ricorso alla ideologia che accomuna (qualunque sistema delle idee: da quellapolitica a quella musicale, a quella ludica, o sportiva etc); oppure il ricorso alla esteriorità dei segni (ideologia leggera o superficiale: il raduno casuale a campo de' fiori o al circo massimo pur in assenza di eventi etc.). Ma l'abbattimento dell'anomia se non trova risposta strutturata nelle scelte e nelle proposizioni, dà vita ad un fatto culturale che, in virtù della leggerezza e superficialità crea l'atomizzazione della società; la sforbiciata decisa alla ricerca delle risposte a domande che da sempre incuriosiscono gli uomini ed in particolare i giovani; l'allontanamento dalle forme partecipate delle decisioni. Al contrario, una duplice risposta - che è spesso, oggi, soggettiva, e che andrebbe invece sostenuta - è possibile per utilizzare l'anomia come molla. Da un lato il confronto, l'aggiornamento, la modifica di ideologie che dal secolo scorso hanno contribuito ad aprire varchi e consentito a milioni di uomini e donne di vivere meglio, nel fisico e nello spirito, rispetto al periodo storico precedente quando questa diffusione di sistema delle idee non c'era. Possono essere le ideologie di libertà individuale e del liberalismo sia filoborghesi che no; così come le ideologie della emancipazione dal lavoro come fardello che hanno avuto milioni di seguaci in tutto il mondo verso il socialismo e il comunismo. L'altra parte della risposta che utilizzi l'anomia come molla, è una sorta di "compromesso comportamentale" tra l'atomizzazione della società e il ricorso alle ideologie. Questo, sempre più spesso, si nota nel modo di vita e di consumo dei beni immateriali, sia intellettuali e audiovisivi che quelli prettamente spirituali: stare insieme al gruppo. Vivere per giornate in full-immersion: ludiche, o sportive, o politiche, etc. A significare che c'è stato un adeguamento a "ventaglio" rispetto alle vie di uscita delle risposte alla non anomia e non autoisolamento; ma anche che non c'è un modus, quale era già noto, di vita/riconoscimento solo nei movimenti di lotta ad esempio, o nelle iniziative dei partiti. Questa strada e situazione "nuova", non deve mettere timore, ma trovare pronta risposta da chi vuole esercitare un ruolo di "concreto aiuto" alla società castellana (noi, oggi), proprio rivolto in chiave del "domani" dello sviluppo futuro e dei giovani di oggi che saranno interpreti e conduttori della società futura. In che modo? Nel modo antico, arricchito di nuovo paradigma, che non chiede deleghe (che in alcune parti non verrebbero neppure mai date) ma invoglia alla partecipazione e, senza inutili e compassati paternalismi, partecipa al confronto delle idee per l'assunzione di scelte. Individuate le quali - in questo, in modo molto positivo si possono leggere molti dei movimenti che stanno imperversando nella società e nella scuola, proprio per la scuola e il diritto allo studio e alla cultura - ci si predispone per attuarle o prenderle come piattaforma di lotta: sia in chiave di istituzioni e genericamente politica, ma anche in chiave socio-culturale di "attività" di misurazione della gestione quotidiana delle idee. Di questo salto, positivo, ad esempio, nei Castelli qui e là è presente e percepito il dato "nuovo e originale". Ma, diciamo una ovvietà: non si è ancora compiuta, e forse il movimento giovanile scolastico da solo non riesce a farlo, una saldatura tra scuola e resto della società; scuola e giovani che lavorano o non lavorano. E, non si torni indietro con la memoria. Il dato non è come quello del sessantotto nella dicotomia fabbrica-scuola. Oggi la realtà, pur permanendo lo stilema della sfruttamento e della suddivisione della disponibilità scuola-cultura in chiave arretrata (basta vedere il taglio di soldi alla scuola pubblica e la dazione a quella privata) si compone di una diversità di soggetti del lavoro precario; del lavoro provvisorio e intermittente; del non lavoro per anni e anni; del falso lavoro autonomo; e così via, tale che, il coinvolgimento di tutta la frastagliata nuova generazione - che perciostesso è estesa nel tempo: non solo ventenni, ma anche trentacinquenni vivono la stessa situazione - non può che essere tema e carico sulle spalle di tutti. A cominciare da chi oggi dirige, per responsabilità, per opposizione, per compiti e ruoli di guida e partecipazione nelle "agenzie" socio-politiche-culturali di cui si compone la società castellana. Quindi senza farne, immediatamente e a prescindere, un "problem politico"; sarebbe comunque un errore, un tragico errore, non far comprendere alla parte più avanzata della società (non dico avanguardia, per non fare copia-incolla di retaggi precedenti. Tuttavia, di scelte soggettive che prefigurano, individuano e cercano di contribuire a rendere dibattito attuale quelle esigenze individuate, questo si lo possiamo condividere). E questo fare, che approfondiremo in seguito, attraversa varie sfere di confronto, di competenza, di fatica a costruire, di movimenti di lotta da sostenere.

martedì 7 dicembre 2010

KULT KAST (prima parte)

Banalmente, mediato dal "modo" dei tag è un invito a riflettere sulla Cultura (KULT) Castellana (KAST).
In senso profondo, che interpreti gli aspetti di quale sia oggi lo stato della cultura ai castelli romani.
In senso pratico, che mostri come la cultura dei castelli romani "informa" le attivà umane che qui si svolgono.
In senso futurista, che preveda in che modo strumenti attuali, o ancora sconosciuti, possono essere evocativi
per un ruolo della cultura dei castelli romani. Tre temi che si intrecciano, inesorabilmente, col tema quotidiano
del consumo di "cultura". Ovvero di "prodotti culturali". Così come con la presenza/e/o/assenza di attività di
produzione culturale (ciò che nazionalmente e oltre è conosciuta come l'inustria culturale); oppure con quale
tipo di caratterizzazione operano le "agenzie culturali": siano esse istituzionali, di movimento, autoaggregate,
di raccordo extraterritoriale...
Occorrerebbe un evento per approfondire tutto ciò. Propongo di crearlo. Di organizzarlo. Occorerebbe una
fonte autorevole, di discussione permanente, dove l'idea, la proposta, scevra dal corrompimento del suo "consumo"
possa essere messa lì a disposizione di confronto, di sbrindellamento, di verifica logica e negazione del
punto trovato...purchè sia - e qui sta la bontà - una capacità/possibilità/leberalità dell'agire a disposizione di
chiunque voglia misurarsi con ciò.
Una volta, questa ipotetica fonte, era stata individuata nella Università (post sessantotto e settantasette e Pantera
e Onda). Oggi, non si può che confermare questa giusta "tendenza". Ma senza delega alcuna. E sapendo che,
innanzitutto, ai Casteli romani una Università non cè. Qui e là presenze di dipartimenti o di cattedre utilizzate
localmente ma sotto l'egida di CasaMadre. Questo fatto non è secondario, non solo per i fini "pratici", ma per
l'intreccio di come le migliaia di giovani castellani che hanno rapporto di studio/ricerca/costruzione di una propria identità
culturale,alla fine sono un misto di residuo di cultura contadina (diretta, indiretta o solo per conoscenza orale
o addirittura incidentale abitando lì  uno dei comuni che non è il centro della città di roma); congiunto ad
una acquisizione di elementi/comportamenti/contaminazioni dei giovani di città che in un tempo soggettivo
all'incirca uguale per tutti, contribuisce a livellare i sentori, a scegliere le priorità culturali in ogni campo:
da quello ludico (in primis lo spinello e la birra), a quello ludico-impegnato come la musica il rapporto coi media
etc. Di modo che, questo pendolarismo, mentre viene utilizzato anche per mettere a confronto modi differenti
(ed ovviamente vale anche per i giovani operai, impiegati o senza lavoro) di rapportarsi con prodotti e modelli
culturali quotidiani; di fatto restituisce a chi si trova in questa situazione una sorta di piccolo "privilegio" di
vivere due esperienze parallele. Ovviamente, nel concreto non c'è una separzione e un dualismo. Anzi, proprio
per il dettato morfologico dell'azione giovanile si trovano spesso connubi più o meno forzosi di "gruppi",
piccoli gruppi sociali che vengono fatti interagire per le più disparate finalità. Il gruppo del calcetto non coincide in
toto col gruppo della passione mutlimediale; il quale non è fotocopia di quello del gruppo vacanze; che non si
sovrappone con quello col quale si condividono altre passioni (politica, impegno sociale etc). Ciononostante
questa differenzialità ai castelli, per l'oggettiva stanzialità principale di ogni giovane nella parte in cui vive/abita
in un determinato paese, è meno accentuata che per chi vive in città.
Di quì ne può discendere una indicazione, un "imperativo" quasi, per chi ha a cuore, per chi vuole dare un contributo
disinteressato alla salvaguardia culturale dei castelli (se c'è da salvaguardare qualcosa, senza retorica: è un giusto interrogativo); alla messa a disposizione di tutti gli abitanti castellani e di eventuali fruitori eterni, ma soprattutto delle giovani generazioni, di analisi, proposte, dubbi, questioni, che possano essere la "cassetta degli attrezzi" con la quale
una "nuova gioventù" (come direbbe Pasolini) si faccia protagonista per le proprie vite e per la gestione della società.
In senso lato. Non si "gestisce" solo facendo il manager o l'eletto; il campione o il genio. Si gestisce anche partecipando
tutti insieme, ognuno da dove può, all'idea di futuro e di società che insieme si decide di prefigurare sia la propria attuale che la
prossima società realizzata.

domenica 5 dicembre 2010

arriva la rivoluzione

arriva la rivoluzione, quando nessuno più,di quanti sono attivi socialmente, culturalmente e politicamente, denunciano, rifiutano, combattono, sovvertono le proposizioni del Grande Pensiero Unico Imperante. Quando il GPUI resta al palo, da solo a chiedersi come mai, nonostante l'azione ad "includere" nelle schiere dei favori; nonostante l'elargizione dei beni privati e pubblici privatizzati in cerchie sempre più ampie di amici, di amici di amici, di conniventi, di conoscenti conniventi e via via, con una infinita catena di S.Antonio. Al palo e chiedendosi come mai! Quando, nonostante le schiere di pennivendoli prezzolati che hanno assistito, e perfino suggerito i modi migliori per selezionare le parole, gli aggettivi, le inquadrature e le telefonate; le benevolenze e le autocelebrazioni da inscenare...quando tutto ciò sarà solo racchiuso nello sgomento, che nessuna bestemmia, nessun raccapriccio contro i turchi e i comunisti potrà scansare da sè, allora avrà compreso che il potere, la tessera piduista, l'appartenenza alle famiglie capitalistiche che bramano, tramano, esagerano, comandano, impartiscono, intrallazzano, hanno trovato di fronte  a sè l'alternativa possibile. Quella donna trascinata in terra da un funzionario di polizia idiota; quei migranti che inflitto dolori indicibili ai loro corpi per non vendere la loro anima e la propria dignità; quelle donne tenaci e impaurite che si sono calate nelle buie viscere di una miniera per imprigionare le loro ossa e liberare il proprio spirito; quelle centinaia di giovani sui tetti e sui più bei monumenti nazionali in rappresentanza e col sostengno attivo di milioni di studenti in tutto il paese; quegli operai che non hanno ceduto: i tre di Melfi, quello incatenato sotto la Regione Lazio, e decine e migliaia che non sono sottostati al ricatto Fiat a Pomigliano o in tanti singoli polverizzati nella Italia produttiva che non sa cosa produce, perchè e per chi...tutte queste persone vere sono l'alternativa che si racchiude di fronte al capo che ha voluto personificare, oltre ogni logica, oltre ogni ego, oltre ogni convenienza della classe a cui appartiene la fine di se stesso. E come nelle migliori commedie all'italiana, caro Mario, questo potente si manifesta infine come un poveraccio. Pieno di potere e di beni materiali che farebbe schifo solo ad un lontano accostamento di paragone col Francesco d'Assisi umano che la storia ci consegna; questo poveraccio nell'anima che ha a brandelli l'intimo spirito, il vacuo essere morale, l'inutilmente patinato ruolo degli affetti paterni; ha poche vie d'uscite personali di fronte a se: non va a Damasco, quindi nessuna folgorazione è da attendersi. Non è un malato terminale, quindi nessuna pietas lo attende. Non ha il coraggio dell'urlo finale, che o la disperazione o la completezza e determinazione della propria personalità non soggetta ad inutili sovrastrutture di cui i seguaci di religioni non possono godere, può adottare. Che farà allora? Solo una squallida uscita di scena...a braccetto con un troione raccattato sotto i platani di un viale al tramonto, per finire il tramonto della propria esistenza senza gioia, senza vita vera mai vissuta, senza rabbia: tutta quella che liberamente appartiene a chi si indigna, si emoziona, si strugge, si compatisce, si dibatte, si interroga, o trova milioni di risposte nella solidarietà umana e sociale. Un amore di appartenenza rivoluzionaria. Una ricchezza e una magnificenza che mille rivoli di tatticismi e mille esercizi di melmosi ruoli di potere non potranno invischiare, ferire, fermare, irretire, distogliere. Perchè noi siamo il futuro, e non giochi di parole sul significato e l'uso puttanesco del lemma; noi siamo la rivoluzione, anche se è passato il 7 novembre e non abbiamo al porto l'Aurora; noi siamo i derelitti e gli ultimi, i non più schiavi: quelli che la rivoluzione l'hanno promessa a Mario e, invece di racchiuderla in solo giorno, la stanno realizzando, utilizzando tutta l'intelligenza e tutta la forza, giorno dopo giorno...ma attenzione: per essere rivoluzione, che non muoia la tensione!